Ho letto “Cent’anni di solitudine” in piena adolescenza.
Non si è trattato di una semplice lettura, ma di un vero e proprio viaggio pur restando fermo in poltrona, come pochissime altre volte mi è capitato di fare. In quei giorni di oltre vent’anni fa feci la conoscenza di tanti personaggi straordinari, diventammo amici, continuano ancora oggi a farmi compagnia: il colonnello Aureliano Buendia, Remedios, gli zingari…e poi un luogo che è diventata la naturale seconda casa di tutti quelli che nelle pagine e nelle pieghe di quella fantastica storia sono rimasti intrappolati: Macondo.
Se la parola magia ha un senso, per scoprirlo basta leggere poche righe:
«Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio. Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito».
Dopo “Cent’anni” lessi “Dell’amore e di altri demoni” e “L’amore al tempo del colera”, anche questi belli e struggenti. Nei momenti di solitudine, di pessimismo, di tristezza e di vuoto che la vita ci riserva, io ho trovato un antidoto efficace: torno a casa, recupero “Cent’anni” (sempre a portata di mano anche se un pò consunto) e senza neppure fare le valigie mi ritrovo in viaggio, Macondo è sempre un posto affascinante e il colonnello sa accoglierti come nessuno saprebbe fare.Del resto tutti noi, chi più chi meno, abbiamo perso un pò di battaglie nella nostra vita, ma ancora ne abbiamo di strada da fare per arrivare ai livelli del colonnello Aureliano Buendia che ha preso parte a 32 rivoluzioni armate perdendole tutte e 32.
Ciao grande Gabriel, e grazie per averci fatto sognare.