Il 21 luglio di quindici anni fa era un luglio come tanti. O almeno così sembrava. Caldo, sole, l’estate che si affacciava su un’Italia berlusconiana che albeggiava al nuovo millennio.
Attraversammo la penisola in pullman, direzione Genova. Io insieme a tanti altri compagni per manifestare contro il G8, per far sentire la nostra voce contro i potenti del globo, per sostenere un’idea alternativa di modello sociale al grido di “un altro mondo è possibile”. Portai con me anche mio fratello Gigi di 17 anni, se non ricordo male alla sua prima manifestazione nazionale di un certo rilievo. Bandiere rosse, striscioni, altoparlanti, la nostra “cassetta degli attrezzi” era munita di tutto l’occorrente.
Non fu una traversata serena. Nei vari notiziari trasmessi durante il viaggio e che seguivano in diretta no-stop la manifestazione di no-global, partiti, sindacati, don Gallo, Emergency, associazioni, anarchici e cittadini senza sigla, la radio rilasciava resoconti inquietanti e notizie angoscianti: era stato ucciso un ragazzo, il giorno prima, negli scontri con le forze dell’ordine. Nello spazio di una notte, Carlo Giuliani era diventato il simbolo della repressione e della lotta.
Già prima della partenza da Cosenza la notizia aveva reso l’atmosfera cupa e preoccupata. Giungemmo in Liguria frastornati, increduli, sgomenti. Quel 21 luglio Genova scintillava, per usare le parole di Antonio Tabucchi. La giornata era limpida, neppure l’ombra di una nuvola a mitigare un sole caldo e cocente. A far da contorno a tutta quella bellezza, a quella festa di partecipazione, a quei colori di protesta, il velo scuro e funereo della morte. Ricordo le ripetute cariche violente della polizia, la devastazione dei black bloc, le vetrine spaccate e le auto in fiamme, le colonne di fumo nero e le forze dell’ordine che inveivano e si accanivano contro i manifestanti pacifici ignorando deliberatamente i veri responsabili di quegli atti. Ricordo la paura, le fughe disperate tra i carruggi per sottrarsi alle cariche tra manganelli e fumogeni sparati ad altezza d’uomo, ricordo la gente di Genova solidale nell’offrirci rifugio nei portoni e nel rifornirci di acqua. Ho visto scene incredibili, ragazze terrorizzate in lacrime, persone sanguinanti, innocui manifestanti sdraiati a terra e percossi.
Bolzaneto, la Diaz, le irruzioni, il caos.
Al ritorno, appena misi piede sul pullman svenni, forse per il troppo caldo, forse per la tensione. Sono trascorsi 15 anni, e sembra cambiato tutto. Di quella generazione di protesta e antagonismo sociale è rimasto ben poco. Sembra quasi che il sonno indotto dalla politica e dai costumi abbia in gran parte soffocato movimenti e dissenso, idee di cambiamento e desiderio di partecipazione attiva.
A distanza di pochi mesi da quel luglio del 2001 sarei diventato padre. Ad Antonio, che guarda ancora oggi la foto incorniciata appesa alla parete del mio studio, racconto di quei tempi e di come, giovani e sognatori, lottavamo anche per il suo futuro, per la sua libertà, per un mondo senza ingiustizie, contro il neoliberismo che pervade le nostre esistenze, contro ogni capitalismo che assoggetta vite e percorsi ideali alle logiche del mercato e del profitto. Nell’intima speranza che da qualche parte, un giorno, dove non si saprà, dove non l’aspettate…il Che ritornerà….