“Qualcuno era comunista perché pensava di poter essere vivo e felice solo se lo erano anche gli altri”, cantava molto tempo fa Giorgio Gaber.
E qualcuno comunista lo è stato quando non era per nulla semplice dichiararsi comunista, professare quelle idee, assecondare certe convinzioni. Qualcuno è stato comunista nonostante la realtà complicata e le situazioni sconsigliassero di esporsi e di opporsi al regime fascista.
Di sicuro era comunista Carlo Antonio Alò, cosentino di San Lucido, che negli anni più bui della persecuzione fascista ricoprì il ruolo di “corriere” per conto del PCI, incaricato di trasportare in Francia materiale propagandistico, volantini, copie dell’Unità, risoluzioni e circolari del Partito. La storia romantica e avventurosa di Alò viene raccontata in un bel libriccino curato da Angelo Pagliaro, dal titolo “Il sarto rosso”. Perché il nostro di mestiere faceva il sarto, e per naturale propensione conservava un’eleganza innata, nei modi e nella vita, nel rapporto con gli altri e nei gesti comuni.
Nella sua attività di militante comunista, di “fenicottero” incaricato di fare la spola tra la Francia e l’Italia stretta nella morsa del Ventennio, si accompagnava a compagni del calibro di Giuseppe Dozza e Giancarlo Pajetta, mantenendo vivi i contatti con Fausto Gullo e quanti nella Presila cosentina erano impegnati nella costruzione di quella rete di resistenza, informazione, attivismo politico e formazione delle masse popolari. Il libro ripercorre la vita e le vicissitudini di un uomo caparbio, coraggioso, strenuamente ancorato alle sue salde idee e ai suoi principi politici. Il racconto si arricchisce di articoli di giornali dell’epoca, integrandosi con le vicende locali e nazionali che vedono protagonista il giovane Carlo, sempre fieramente ostile alle idee fasciste e mai subalterno, antagonista nei fatti e nei comportamenti, coerente con un sogno di libertà e giustizia in quell’epoca difficile e pericolosa. Carlo era un autodidatta, ma nel contempo raffinato pensatore e acuto osservatore, persona disponibile e gentile, eppure rigorosa e inflessibile.
Mi ha prestato il libro un amico la cui moglie è la nipote diretta di Carlo Alò: le pagine scorrono velocemente, e sviluppano un racconto che è uno spaccato fedele dell’Italia fascista, raccogliendo storie, aneddoti e biografie di tanti altri antifascisti (per lo più viventi nella provincia di Cosenza) che produssero la loro opera intellettuale e fattiva mettendo a repentaglio la propria vita e quella dei loro cari. Storie spesso dimenticate, molte finite in tragedia, tutte sempre utili a formare le coscienze di donne e di uomini che si ribellarono e combatterono l’odio, il terrore e l’oscurantismo mussoliniano.
Se riuscite a procurarvene una copia, vi invito a leggerlo per riflettere, capire, approfondire e conoscere più da vicino quegli uomini della nostra terra che senza essere stati eroi hanno scritto, ognuno nel suo piccolo, pagine di Storia, Cultura Politica e Resistenza. Perché questo libro ha il merito, tra gli altri, di descrivere ambienti e luoghi, abitudini e vicende, situazioni quotidiane della provincia di Cosenza quando essere Comunisti caratterizzava l’agire quotidiano oltre alla militanza politica. Portando la coerenza, premessa di valore, fino anche alle più estreme conseguenze.
Diceva Tolstoj che gli uomini si dividono in due categorie, quelli di guerra vissuti in anni di guerra e quelli di pace vissuti in epoche tranquille. I primi scrivono la Storia, i secondi vivono la cronaca.
Carlo Antonio Alò è stato un uomo di guerra.