“Che cos’è il numero, che l’uomo può capire? E che cos’è l’uomo, che può capire il numero?”. Nella celeberrima frase, datata 1960, del neurofisiologo americano Warren McCulloch, è racchiuso il più grande e irrisolto arcano di tutti i tempi: la potenza e l’enigmaticità dei numeri di fronte alle limitate capacità umane. Il mistero diventa ancora più “buffo” se si considera il paradosso dato dal fatto che la complessa materia numerica, la maneggiamo abitualmente nella totalità delle nostre faccende giornaliere.
Tutto è fatto di numeri, noi stessi siamo composti da numeri, i numeri regolano i ritmi vitali dell’umanità. Il tempo, le distanze, la filosofia, il peso, l’altezza, le valutazioni, i prezzi, la musica, il gioco, il denaro, le religioni, il risparmio, la politica, le quantità e via fino all’infinito, peraltro quest’ultimo anch’esso un numero. Persino le frasi di un discorso, di un poema, di un’opera teatrale o di un articolo sono composti da cifre, e innumerevoli modi di dire fanno ricorso alla numerologia. Insomma, una materia di così largo consumo eppure per tanti versi poco conosciuta.
Davvero un “mistero buffo”.
Se consideriamo che l’esigenza di organizzare numericamente l’attività umana risale a decine di migliaia di anni fa, che in Cina già 2.700 anni prima di Cristo venivano utilizzate le cordicelle con i nodi per tener di conto, che i Sumeri, i Babilonesi, gli Egizi, i Greci, i Maya, fino ad arrivare agli Indiani nel VI secolo e agli Arabi nell’VIII elaborarono strumenti di calcolo, ci rendiamo conto di quanto i numeri abbiano influito sull’evoluzione del genere umano. Detto per inciso, erroneamente a quanto si creda, il sistema numerico occidentale è infatti di stampo Indiano (furono i primi a tracciare i numeri da 0 a 9), e solo successivamente, circa 2 secoli dopo, fu adottato dagli Arabi.
Insomma, nonostante sin dai tempi più remoti l’uomo faccia uso dei numeri e delle 4 operazioni basilari dell’aritmetica (addizione, sottrazione, moltiplicazione e divisione), il diabolico meccanismo che si cela dietro ogni singola cifra continua a conservare significati magici, esoterici e algebrici oscuri.
I numeri mi hanno sempre affascinato, pur riconoscendo di non possedere quella necessaria elasticità mentale che favorisce il calcolo e la comprensione immediata, utile a poter sviluppare con rapidità le operazioni apparentemente meno ostiche. Ricordo che da bambino impiegai un lasso di tempo esagerato per acquisire il meccanismo delle divisioni, poi mi scontrai con percentuali e radici quadrate, il culmine di difficoltà lo raggiunsi con le equazioni algebriche: ancora oggi, osservando mio figlio cimentarsi in binomi e polinomi o nella famigerata “Regola di Ruffini”, avverto uno sgradevole senso di disagio. Durante la mia adolescenza preferivo dedicarmi alla lettura dei fumetti, trascorrendo il resto della giornata a inseguire un pallone che rotolava. Poi, dai 15 anni in avanti, iniziai a dedicarmi alla scrittura, coltivando la passione del giornalismo sportivo. Scrivevo articoli per diversi settimanali calcistici di Cosenza, una passione che è andata avanti per diverso tempo e che ancora è rimasta viva. Nel frattempo, prendeva corpo e sostanza l’impegno politico, sempre più coinvolgente e totalizzante. La lettura dei libri si sostituì a quella dei fumetti, il calcio sempre a tenermi compagnia più da osservatore assiduo che da praticante della disciplina. E i numeri come un’ossessione a ricordarmi del tempo che passava, degli anni che andavano inesorabili a sommarsi gli uni agli altri. Numeri ai quali mi sono sempre approcciato con rispetto e deferenza anche nella mia attività professionale di bancario, tenendo scrupolosamente il conto e ricordando a me stesso della “convenzionalità” del binomio cifre/tempo. 6 anni fa, con l’ingresso negli “anta”, ho iniziato a scrivere libri gialli, sommandone 3 (compreso quello di ormai prossima pubblicazione) a partire dal 2010. E oggi, nella settimana che segna l’addio al genio di Dario Fo, compio 46 anni sublimando il “buffo mistero” della mia vita, le cui orme lasciate impresse nella quotidianità del percorso finora compiuto rendicontano passi a volte incerti, a volte più decisi, errori, sbavature, affermazioni, delusioni e soddisfazioni. Se mi volto a guardare indietro scopro di aver dedicato piccoli periodi della mia esistenza all’esercizio di attività supplementari, come imparare a giocare a biliardo o tentare di suonare la chitarra: 5 birilli, una palla, 6 corde.
Ancora numeri. Sempre numeri.
Ma che numero è il 46 che mi accompagnerà per 12 mesi? La prima cosa che mi viene in mente è Valentino Rossi, poi ho scoperto che è il numero che contraddistingue il palladio, un metallo molto utilizzato in orologeria (deriverà da questo particolare il fatto che in questa fase della mia vita, come scrivevo la settimana passata, mi ritrovo casa invasa dagli orologi?), e in ultimo ho notato (non ci voleva tanto) che è il palindromo di 64: tante sono le caselle nel gioco degli scacchi e le arti possedute dal dio Krishna elencate come posizioni sessuali fondamentali nel Kamasutra. Ma se lo si considera palindromo, vuol dire che il 46 sta all’opposto di certe virtù… e quindi a 0!!!
Ogni vita, anche quella più abitudinaria o apparentemente insignificante, se analizzata al microscopio rivela tratti sorprendenti e unici. E’ una regola che applico con scrupolo e meticolosità nei miei romanzi e di cui resto convinto assertore. Continuerò a osservare e a scrivere, lasciandomi piacevolmente suggestionare dai numeri e dalle loro misteriose combinazioni.
Quando nel corso di un’intervista, nel 2010, un giornalista domandò a Bob Dylan, fresco premio Nobel per la letteratura, se si considerava un cantante di protesta, lui rispose: “No, quelli che scrivo io sono brani matematici”.