Oggi, come 96 anni fa a Livorno, nasceva il Partito Comunista Italiano. Ricordo che da bambino, ancora ignaro della grandezza di quegli ideali e del significato di liberazione che la Storia aveva racchiuso nella parola comunismo, rimasi impressionato e ammaliato da quel simbolo, quella falce e martello su sfondo bianco all’interno di un manifesto blu. Lo slogan, riportato in basso, restò impresso nella mia memoria di ragazzino, esercitando un fascino potente: “Vota comunista. Una grande forza della pace e della democrazia, per l’alternativa”. Un giorno, tornando da scuola, all’epoca frequentavo le medie, credo l’ultimo anno, staccai uno di quei manifesti elettorali da un muro. Era mezzo sgualcito, gli angoli inferiori induriti dalla colla ormai secca e ripiegati verso l’interno, il foglio incartapecorito da sole e pioggia. Con delicatezza lo arrotolai e me lo portai a casa. Erano gli anni in cui il volto televisivo del PCI veniva incarnato dall’espressione seria e malinconica di Enrico Berlinguer, dal suo modo di parlare misurato, dai discorsi chiari e coerenti, dalla sua “questione morale”. Il segretario, quello che mio nonno materno, democristiano di lungo corso, vedeva come fumo negli occhi. E che mio padre considerava e ancora oggi ricorda come baluardo di un mondo nuovo, più giusto e libero, più equo. Mi commossi per ciò che accadde a Padova quel pomeriggio di giugno del 1984, assistetti impietrito alle immagini trasmesse dalla tv nei giorni successivi, quella marea di bandiere rosse listate a lutto che attraversava e invadeva Roma. Flashback dell’anima. Probabilmente, nacque e si formò in maniera inizialmente inconsapevole in quei giorni, la mia coscienza politica, il cui embrione è racchiuso in quel manifesto elettorale che ancora giace, da qualche parte, in soffitta a casa dei miei. Da adolescente studiai la storia del movimento operaio, lessi Marx e Lenin, Guevara e Fidel Castro, Togliatti, Gramsci e Rosa Luxemburg. Frequentai i movimenti giovanili, presi in seguito la tessera di quel Partito che si proponeva di rifondare il comunismo, ricoprendone in epoca successiva anche il ruolo di segretario a Cosenza. Di quella straordinaria Storia, che ebbe inizio quasi un secolo fa, sento di farne parte ancora oggi. Di quelle battaglie, di quelle conquiste, degli errori commessi, dell’assalto al cielo, del desiderio di libertà e giustizia sociale, delle manifestazioni, dei volantini, delle notti passate ad attaccare manifesti, dell’odore di colla, delle riunioni interminabili, dei comizi elettorali, degli scontri ideologici, delle mozioni congressuali, di quello che non ho vissuto ma ho letto, di quello che ho vissuto e in cui ho creduto e ancora credo. “Nessun errore, per quanto grande sia stato commesso, potrà cancellare l’anelito di libertà che quelle idee hanno prodotto e concretizzato per milioni di individui”, quelli più emarginati, più poveri, gli oppressi, gli ultimi, gli sfruttati del capitalismo. Chiamatemi vetero o nostalgico, sognatore o utopista, ma oggi più che mai, nell’anno del centenario della Rivoluzione d’Ottobre del 1917, sono convinto che quelle idee siano più attuali che mai.
Nella settimana iniziata con il Blue Monday, il giorno più triste dell’anno, i colori l’hanno fatta da padroni. Dal blu/nero del terzo lunedì di gennaio, che secondo alcuni algoritmi coincide con il giorno che in assoluto dei 365 somma più depressione e tristezza, al bianco della neve che in un ossimoro tragico ha portato morte nera e distruzione in Abruzzo, seppellendo vive una ventina di persone alloggiate in un hotel. Mi domando: d’accordo che i terremoti non è possibile prevederli, ma se l’incredibile perturbazione nevosa era stata annunciata da almeno una settimana, per quale motivo non si è intervenuti in tempo? Evacuando le zone a rischio, mobilitando esercito e protezione civile prima che la situazione precipitasse, assicurando interventi idonei e tempestivi per quei paesini rimasti sepolti sotto il ghiaccio? In un Paese che si vanta di essere tra i maggiori Stati industrializzati a livello mondiale, è mai possibile che oltre 100mila persone rimangano senza energia elettrica per diversi giorni? Senza scorte alimentari, senza acqua, completamente isolate? Sento parlare tutti i giorni di innovazione, di messa in sicurezza del territorio, di prevenzione…eppure all’atto della verifica ci si ritrova sempre a contare i morti. In Italia tutto è straordinario, prevale la cultura dell’emergenza: incendi, siccità, alluvioni, terremoti, nevicate, esondazioni, fango, valanghe, slavine. All’appello mancano eruzioni e maremoti. Incrociamo le dita…e facciamo un monumento al corpo dei Vigili del Fuoco.
Dal blu/nero, al bianco offuscato di morte e distruzione, al rosso dei Vigili del Fuoco e delle “belle bandiere” e a Gramsci…di cui domani ricorre il 126esimo anniversario dalla nascita. I suoi scritti, le sue lucide analisi, le struggenti e corpose “lettere dal carcere” continuano a rappresentare il migliore esempio di buona politica; le elaborazioni puntuali del più grande filosofo marxista italiano, risultano ancora attuali sotto il profilo dell’antropologia sociale e dei fenomeni sovrastrutturali che ne condizionano dinamiche e rapporti.
The colors of Italy: ma qual è, oggi, il colore che caratterizza il nostro Paese? Direi un grigio sbiadito, che soffoca speranze di vita dignitosa, che esprime rassegnazione, che scoraggia impegno e iniziativa, che tollera evasione fiscale e disuguaglianze, che penalizza i giovani, che mortifica cultura e impegno sociale. Che non protegge e non offre sicurezza nemmeno contro le intemperie. Che oscura le emozioni.
E i colori, diceva Picasso, seguono i cambiamenti delle emozioni.