“Menti pericolose – dodici storie per non dormire”, è una raccolta di racconti noir di Jeffery Deaver, edita in Italia da Rizzoli. L’autore è uno dei maggiori esponenti del genere thriller a livello planetario, le sue opere sono tradotte in diverse lingue e vendute in oltre 150 paesi, i suoi romanzi spesso si rivelano autentici bestsellers (“Il collezionista di ossa”) come testimoniano i numerosi riconoscimenti ottenuti nelle varie e prestigiose rassegne letterarie in giro per il mondo.
Sarà stato per questo invidiabile pedigree che il mio approccio al libro era di grande aspettativa, complice un sottotitolo intrigante che stimolava e accresceva in me un “desiderio” di insonnia, provocato da pensieri inquietanti e situazioni enigmatiche e criptiche. Alla fine delle quasi 600 pagine, posso affermare di essere rimasto soddisfatto solo in parte, perché alcuni racconti mi hanno lasciato del tutto indifferente, altri mi sono moderatamente piaciuti, un paio mi hanno indotto a riflettere catturando la mia curiosità, ma soltanto uno, il più lungo di tutti (e forse non è un caso…poi spiegherò il perché) mi è piaciuto per davvero. Insomma, la promessa contenuta nel sottotitolo, quella delle dodici storie per non dormire, è stata in larghissima parte disattesa. Credo, tuttavia, che non sia colpa dei racconti ad aver fatto lentamente maturare e alla fine prendere forma la mia parziale delusione, bensì, appunto, la causa è da ricercare nella premessa invitante evidenziata in copertina. In altre parole, se il titolo del libro fosse stato semplicemente “Menti pericolose”, senza l’accattivante (per gli amanti del genere, s’intende) prospettiva di non chiudere occhio, con tutta probabilità la mia valutazione sarebbe stata decisamente migliore come pure il mio grado di soddisfazione. E’ come quando acquisti il detersivo che ti promette il bianco insuperabile: lava bene, d’accordo, ma ti accorgi che il bianco non è più bianco di tutti gli altri prodotti analoghi. O quando, davanti alla visione del supertelevisore dall’immagine ultraperfetta che cambierà il modo di vedere le cose, fai fatica a scorgere la differenza con l’apparecchio di penultima generazione già presente in casa.
Le dodici storie sono un discreto svago per trascorrere un po’ di ore senza particolare impegno, nel clima della provincia americana dove i racconti risultano ambientati. Deaver conferma la sua predilezione per i finali a sorpresa, per gli epiloghi poco scontati e per nulla preventivati, per le situazioni dove tutto ciò che appare viene smentito nelle ultime righe del racconto. Dove persino la soluzione individuata dal detective di turno, viene spesso capovolta dall’ultimo, inaspettato colpo di scena. Da questo punto di vista, la raccolta di racconti rappresenta un piacevole passatempo. Tuttavia, e qui veniamo al secondo elemento penalizzante dopo il titolo, la struttura della narrazione, articolata per l’appunto in racconti brevi, toglie molto alla caratteristica tipica della storia investigativa, che si nutre per definizione di particolari, descrizioni, dialoghi, dettagli, riflessioni e confronti tra i protagonisti. Nel racconto breve è tutto, necessariamente, concentrato, sintetizzato, ridotto per molti versi all’essenziale. E’ una formula che, personalmente, non mi fa impazzire: non è un caso che, delle dodici storie che compongono il libro, quella che mi è veramente piaciuta è senza dubbio la più lunga di tutte, 138 pagine contro una media all’incirca di 40 per le altre.
Detto ciò, lo stile narrativo è impreziosito da diversi elementi riconducibili a tecniche di indagine forense, metodi che spaziano dalla raccolta e catalogazione delle prove a interrogatori basati sull’analisi cinesica; le trame dei racconti analizzano lo spaccato della società americana contemporanea, la caratterizzazione dei personaggi è tipica di quella cultura da FBI o CSI (Crime Scene Investigation, fortunata serie televisiva statunitense), l’ambientazione ne ricalca i paesaggi amplificandone la dimensione.
Sottotitolo a parte, “Menti pericolose”, per gli amanti dei racconti brevi a sfondo giallo può avere, non senza appunti, il suo giustificato senso.