Tra le mie letture adolescenziali, il fumetto che più di tutti sedimentava in me un sentimento di evasione e serenità era senza dubbio “Topolino”. Ne divoravo storie in quantità industriale, mio padre ogni venerdì acquistava la copia settimanale e io, dopo neppure un giorno, avevo già finito di leggerla. Li collezionavo, quei giornaletti, non soltanto per un desiderio di accumulazione: il passatempo consisteva nel rileggerli fino quasi a impararli a memoria, nonostante conoscessi già la trama e l’esito dei singoli episodi. D’estate, poi, a scuole chiuse, cominciavo a leggere dal primo pomeriggio e andavo avanti senza sosta fino a sera. Era tra i miei passatempi preferiti, una sorta di catarsi, una “purificazione” letteraria dello spirito dopo i mesi trascorsi a sbattere la testa sui libri didattici. Adoravo tutti i personaggi Disney, nessuno escluso. Ma la predilezione assoluta si concentrava su Topolino e Paperino. Del primo mi entusiasmava l’acume e l’intelligenza nel venire a capo dei casi investigativi cui di volta in volta, nelle vesti di detective, si cimentava alla ricerca della soluzione; di Paperino adoravo lo stile di vita, il suo essere costretto a barcamenarsi tra mille difficoltà quotidiane, la sua cronica esistenza da squattrinato all’ombra del multimiliardario Zio Paperone, la sua bontà, l’altruismo, la caparbietà nonostante fosse bersagliato dalla sfortuna perenne, la dolce e contagiante pigrizia. Indimenticabili e affascinanti le sue ore d’ozio trascorse sull’amaca in giardino, il culto del riposo, l’evocativa propensione al sonno e al “pisolino”, l’essere refrattario al lavoro e alla fatica. Spettacolare! Difficile non provare invidia, impossibile per me resistere al desiderio di immedesimazione nei confronti di quel papero che dedicava all’ozio gran parte delle sue giornate, sublimando il concetto di lentezza, di riposo, di relax, di “dolce far nulla”. L’immagine di lasciarsi trasportare dal sonno, conciliato dalla lettura di un buon libro come spesso le vignette raffiguravano, coincideva alla perfezione con la mia indole di allora: pigro per vocazione. Al diavolo la fatica, gli sforzi fisici, le palestre: molto meglio rilassarsi con la lettura e sprofondare nel riposo. Tra i diversi e stravaganti lavori che Paperino, suo malgrado, è stato costretto a esercitare nel corso della sua strepitosa esistenza, tra un sonnellino e l’altro, il migliore si è rivelato senza ombra di dubbio quello di “collaudatore di materassi”: l’impegno consisteva nel recarsi ogni mattina in fabbrica, sdraiarsi su un letto e verificarne la comodità, la confortevolezza, l’induzione all’appisolamento. Alzi la mano chi non accetterebbe: di sicuro il top, il miglior mestiere del mondo!
L’immagine di Paperino mi è tornata in mente quando ho appreso che l’Associazione Mondiale di Medicina del Sonno aveva fissato per ieri, ultimo venerdì prima dell’equinozio di primavera, la celebrazione della Giornata Mondiale del Sonno, il World Sleep Day. Con grande dispiacere ho scoperto che più del 40% della popolazione mondiale soffre di disturbi del sonno, ossia dorme male, dorme poco o non dorme affatto, accusando problemi di insonnia persistente, con gravi ripercussioni sulla propria vita quotidiana che si traducono in stanchezza continua, deficit di concentrazione e di memoria, disturbi dell’umore, fino a conseguenze estreme come ictus e infarti. Ma quali sono le cause di questa mancanza di riposo, o di cattivo svolgimento di un’azione fondamentale per il nostro equilibrio psico-fisico? Azzardo: i problemi di vita e di lavoro, le crescenti preoccupazioni professionali, la mancanza di certezze e di sicurezze sociali, l’assenza di lavoro, lo stress continuo a cui veniamo sottoposti in termini di obiettivi (lavorativi e sociali, appunto) da dover raggiungere a tutti i costi, la precarietà, la flessibilità intesa come dogma esistenziale, i budget da traguardare senza se e senza ma, le conquiste da ottenere in ottica di crescita professionale, i fallimenti che ne derivano, la riduzione di autostima, i ritmi forsennati a cui siamo costretti ad adeguarci. Il tutto perché qualcuno ha avuto l’abilità di farci credere e di convincerci (con le buone o con le cattive) ad accettare un paradigma sociale costruito sull’esigenza di produzione continua di ricchezza (peraltro non redistribuita) fondata sul falso assioma che il concetto di crescita è di per sé infinito e inesauribile. Nulla di più falso, visto che le risorse tanto in natura quanto quelle derivate, sono al contrario assai limitate.
Nel venerdì 17 dedicato alla sublime arte del sonno, dove per conseguenza diretta il sogno e l’evasione onirica assumono un ruolo centrale, com’è giusto che sia, nella sfera individuale e collettiva di ogni individuo, rivalutando il valore del riposo come strumento necessario per migliorare la qualità della vita anche in senso filosofico, artistico e letterario, la settimana si caratterizza anche per un altro non secondario aspetto. E’ stata, infatti, la settimana dedicata ai disturbi dell’attenzione e dell’apprendimento, tema fondamentale che riguarda tanti bambini affetti da questo problema. Bambini spesso poco considerati e poco valorizzati. Ma che, grazie all’aiuto di insegnanti speciali, riescono a ottenere progressi e risultati stupefacenti. Anche in un mondo troppo impegnato a premiare eccellenze e selezionare individui le cui caratteristiche siano compatibili con quel modello vincente da perpetuare all’infinito.
Io agli eroi preferisco gli antieroi, alle imposte perfezioni oppongo orgogliosamente i difetti, ai manager di successo rispondo con gli insegnanti che dedicano amore e ogni tipo di sforzo per esaltare le virtù di questi bambini.
Ebbene, tra l’iperattivismo e l’ozio, scelgo l’ozio, tra i personaggi belli e ricchi e gli sfigati che combattono ogni maledetto giorno, scelgo gli sfigati, tra Superman e Paperino, scelgo Paperino. Perché è più simpatico, più genuino, più problematico: in altre parole, più umano.
E soprattutto perché, in fin dei conti, mi sento molto più simile a lui.