Pappagalli verdi non è solo un libro, anzi forse non è per nulla un libro. E’ qualcosa di più, perché attinge a piene mani dalla realtà, tragica e drammaticamente vera, che solo la guerra riesce a trasmettere.
Pappagalli verdi è un diario, il diario di un chirurgo di guerra che racconta e ci sbatte in faccia l’orrore quotidiano vissuto nel corso di oltre trent’anni di esperienza maturata in giro per il mondo: in Afghanistan, nel Kurdistan iracheno, in Ruanda, a Sarajevo, in Cambogia, in Pakistan, al confine tra Iraq e Iran, in Baluchistan, a Kabul, in Siria, a Suleimania, in Etiopia, in Angola, in Perù. In tutti quei posti definiti convenzionalmente “teatri di guerra”. Le pagine di questo diario, scrupolosamente annotate da Gino Strada, contengono in sé un potere dirompente, più delle bombe e delle deflagrazioni prodotte dalle mine antiuomo. Perché tali pagine sono dirette, senza filtri, a tratti intime e per nulla autoreferenziali (l’autore spesso si lascia andare a dubbi e angosce circa le proprie scelte di vita, riflettendo a voce alta sul ruolo da egli stesso ricoperto all’interno del suo nucleo familiare); pagine crudissime, intrise di dolore e di umana pietà. Le miserie della guerra e le meschinità di chi le dichiara e le conduce sono rivelate senza veli agli occhi del lettore, proponendo una versione differente da quella stereotipata e spesso ammantata di eroismi o giustificate ragioni che le televisioni e i giornali diffondono su larga scala.
Il libro, edito da Feltrinelli nel 2002, è di una attualità sconcertante, perché la guerra, indipendentemente dalle motivazioni per cui viene dichiarata o dalle armi che si avvale, ripropone sempre, con immutata crudeltà, il medesimo cliché di morte e distruzione. Gino Strada ci conduce per mano attraverso sentieri lastricati di sangue, di orribili mutilazioni, di lutti strazianti, ma anche di speranza, di altruismo, di generosità, di disinteressato amore verso gente che nella propria esistenza non ha conosciuto altro che bombe, miseria e morte. I capitoli di questo diario si susseguono nel raccontare l’aspetto nascosto e meno appariscente dei conflitti, quello che si svolge, senza orari e con pochi mezzi, nelle corsie e nelle improvvisate sale operatorie di disastrati ospedali di guerra. Dove con passione e coraggio, attingendo a doti di umanità e solidarietà, si combatte per alleviare dolore, per strappare alla morte, per ridare speranza a vecchi, donne e bambini, vittime innocenti di egoismi planetari. Sarà un caso che, in tutte le guerre, più del 90% delle vittime sono civili? La coscienza di chi legge viene centrifugata dal racconto dell’orrore vissuto, da tanti microepisodi che, presi singolarmente e analizzati al microscopio, compongono il mosaico della tragedia collettiva.
Dal mio punto di vista, renderei obbligatoria la lettura del testo in tutte le scuole, di ogni ordine e grado senza distinzione alcuna, soprattutto oggi, con i nuovi venti di guerra che spirano minacciosi dalla Siria al Medio Oriente, dalla Corea del Nord all’Afghanistan. Senza che nessuno faccia nulla, anzi in taluni casi sorridendo del fatto che lo sceriffo a stelle e strisce abbia la capacità di mostrare muscoli e intraprendenza.
Ma perché quel titolo, Pappagalli verdi? La spiegazione è semplice: perché tra le tante mine antiuomo, di cui il nostro Paese, fino al 1997 era tra i principali produttori mondiali prima che la legge n.374 ne mettesse al bando la produzione e il commercio, alcune tra queste hanno le sembianze di pappagalli verdi, vale a dire giocattoli destinati ai bambini e depositati a terra da elicotteri militari. Tali mine non esplodono al contatto con il suolo, né appena prese in mano da ragazzini incuriositi dalle forme di questi terribili ordigni: è necessario che il contatto e il calore sviluppato dal passaggio di mano in mano tra i bambini, inneschi la detonazione e provochi l’esplosione. Mine che, per la forma e i colori, sono destinate a un pubblico di minori, ordigni confezionati per uccidere piccoli innocenti, bombe finalizzate a produrre angoscia e disperazione, azzerando ogni ipotesi di futuro. Cancellando speranze e sogni.
Gino Strada, che giusto pochi giorni fa ha compito 69 anni, è tra i fondatori di Emergency, l’organizzazione realmente umanitaria costituita nel 1994, che si occupa di esportare cure mediche e assistenza chirurgica gratuita in Paesi dilaniati da conflitti eterni e spesso dimenticati. Impiantando ospedali, costruendo centri di ricovero e riabilitazione, fornendo protesi e assistenza sanitaria e psicologica. Tra le varie e straordinarie esperienze narrate nel libro, c’è spazio per episodi di rinascita, di nuova speranza, di fraterna amicizia nata e cementata sotto le bombe, di feroce critica alle istituzioni internazionali, di disappunto verso scelte improntate e dettate dalla più becera e cinica burocrazia, il tutto raccontato senza mediazioni né urticanti equilibrismi diplomatici; e ancora, situazioni di paura vissute in prima persona, l’arte di arrangiarsi in condizioni estreme, la passione per un lavoro, quello del chirurgo di guerra come Gino Strada ama definirsi, che va al di là del semplice e routinario esercizio della professione medica.
Un libro di un’umanità sconvolgente.
Per tutte queste ragioni, e per quelle che ognuno di voi sarà capace di scorgere tra le pagine di questa meravigliosa opera di testimonianza diretta, vi invito caldamente a leggere, per chi non lo abbia già fatto, Pappagalli verdi.
E per gli stessi motivi vi esorto a devolvere il vostro 5×1000 a favore di Emergency. Come faccio io da molti anni a questa parte.