Una Juve affamata, insaziabile, divoratrice. Nel ricco menù di fine stagione, la Coppa Italia rappresenta l’antipasto nel ristorante extra-lusso cui la formazione bianconera si accomoda per consumare le tre ghiotte portate che lo chef stellato Allegri ha sapientemente preparato per la Signora del calcio italiano.
La bruciante sconfitta maturata tre giorni fa in quello stesso stadio, contro la Roma in campionato, è solo un pallidissimo ricordo: un incubo sfumato tra realtà e finzione, uno stato di offuscamento metafisico, di nebbioso appannamento che quasi si stenta a credere sia accaduto realmente. Ne eravamo certi, la strepitosa prestazione fornita contro la Lazio ha confermato speranze suffragate da nette percezioni. La terza Coppa Italia consecutiva, 12esima del computo totale, rappresenta l’ennesimo record conquistato dalla società bianconera: mai nessuno, in Italia, era riuscito finora ad imporsi per tre stagioni di fila nella coppa nazionale. La Lazio, contro cui giocare, come ci piace ripetere, è sempre un grande piacere, ha fatto tutto ciò che era nelle sue non poche possibilità: ha approcciato la sfida con la giusta aggressività, ha sfiorato il vantaggio dopo appena sei minuti colpendo un palo, ha messo intensità e coraggio provando ad emulare il secondo tempo dei cugini giallorossi di domenica scorsa; l’obiettivo era quello di sorprendere i penta-Campioni d’Italia con l’arma del pressing e della corsa, facendo leva sulla velocità di Keita, sulle geometrie di Biglia e sull’abilità di inserimento senza palla di Milinkovic-savic. Una squadra in salute, quella di Simone Inzaghi, ma nettamente inferiore per valori tecnici rispetto alla formazione bianconera, che dopo aver controllato l’avvio bruciante dei biancocelesti ha colpito due volte, nello spazio di dodici minuti, durante la parte centrale del primo tempo.
La disposizione tattica di Allegri ha confermato solo negli interpreti quelle che erano le previsioni della vigilia: 3-4-3 con Neto (cui spetta la titolarità in Coppa Italia) a presidio dei pali, difesa allestita con Barzagli, Bonucci e Chiellini, due esterni alti come Dani Alves a destra e Alex Sandro a sinistra chiamati a svolgere la doppia fase di spinta e contenimento in affiancamento alla coppia di mediani a centrocampo composta da Marchisio e Rincon (date le contemporanee assenze dello squalificato Pjanic e dell’infortunato Khedira), trio offensivo con Higuain punta centrale, Dybala tra le linee nel ruolo chiave di trequartista e Mandzukic defilato sulla corsia di sinistra. Modulo, il 3-4-3, che in fase di non possesso prevede l’arretramento di Alex Sandro a comporre il quartetto difensivo, con Dani Alves e Mandzukic che scalano a centrocampo dando manforte a Marchisio e Rincon, lasciando in avanti Dybala e Higuain, trasformandosi in un 4-4-2 che chiude gli spazi e stringe le linee di passaggio. In fase di impostazione la manovra juventina predilige il gioco sugli esterni e lo scarico al centro su Dybala, al quale spetta il compito di creare superiorità numerica nell’uno contro uno e favorire i tagli in profondità del Pipita. Tema tattico chiaro, fraseggio di prima intenzione, cambi di gioco ad allargare il campo e movimenti continui senza palla. Detto fatto: al 12esimo è Alex Sandro a cambiare gioco e trovare sul palo opposto Dani Alves, che al volo non lascia scampo al portiere laziale Strakosha e manda in visibilio la curva bianconera. Sbloccato il risultato, la Lazio accusa il colpo e la Juve prende definitivamente in mano le redini del gioco, fa girare palla con maggiore velocità e precisione, costruisce alcune belle occasioni da goal con tiri dalla distanza di Higuain e Dybala, e solo per un soffio non chiude la pratica con il Pipita che, servito a centro area da Dani Alves, si vede neutralizzato il tiro a botta sicura dal prodigioso intervento dell’estremo difensore biancoceleste. Il raddoppio, tuttavia, è nell’aria, e al 25esimo, sugli sviluppi di un calcio d’angolo, è Bonucci a rubare il tempo agli avversari e depositare in rete la palla che di fatto chiude il match.
2 a 0 e tutti promossi a pieni voti: immensa la prestazione di Dani Alves che ha letteralmente fatto impazzire Lulic, commovente per dedizione e spirito di sacrificio la prova di Mandzukic, decisiva la spinta di Alex Sandro sulla propria corsia di pertinenza, sublime Dybala nelle sue giocate, fondamentali Chiellini, Barzagli e Bonucci in difesa, ordinata la gara di Marchisio, vigorosa la prova di Rincon, imprescindibile il contributo alla manovra di Higuain vicinissimo al goal in un paio di circostanze, attento e sempre ben posizionato Neto a difesa della propria porta. Nella seconda frazione i bianconeri controllano e gestiscono il risultato senza mai correre grossi pericoli, la Lazio prova a scuotersi con Felipe Anderson, l’ingresso in campo di Lemina nel finale al posto di Dybala fornisce ancora più copertura e, in sostanza, contribuisce a blindare il risultato.
Poi la premiazione, la coppa alzata in cielo da Buffon, l’inno bianconero che per il terzo anno consecutivo rimbomba nello Stadio Olimpico, l’emozione che attanaglia l’animo di chi come me, anche a 47 anni, segue la partita con la sciarpa al collo in poltrona e si commuove di felicità esattamente come accadeva sin da bambino: sensazioni che solo il calcio sa regalare, che solo la Juve riesce a trasmettere.
L’antipasto è stato divorato, il primo trofeo stagionale è in bacheca, ma abbiamo ancora fame: domenica pomeriggio il pranzo di gala con il Crotone, per chiudere definitivamente il discorso scudetto. In attesa del dolce, della ciliegina finale sulla torta di Cardiff.
FINO ALLA FINE!!!! FORZA JUVE!!!!