Una consonante ripetuta per tre volte messa insieme a due vocali. L’ultimo re di Roma dice addio al calcio giocato dopo 25 anni di carriera, di numeri, di tocchi sublimi, di pennellate formidabili, di intuizioni geniali. E di goal, tanti goal. Da stasera, Francesco Totti entra di fatto nell’Olimpo del calcio mondiale, quello senza tempo e senza dimensione, dove da anni risiedono campioni del calibro di Del Piero, Maldini, Cruijff, Platini, Maradona, Pelè, George Best, Di Stefano, Puskas, il ragno nero Jasin. Non sono le vittorie conquistate in carriera, non sono i trofei alzati al cielo. Il calcio sa diventare poesia e riesce a scrivere pagine memorabili quando i suoi più autentici interpreti hanno la forza di incarnarsi con l’essenza pura del gioco che esprimono. Il football diventa arte, si fonde in un tutt’uno con la grazia, l’eleganza e le qualità di chi si rivela essere un predestinato, di coloro i quali esercitano quel fascino immortale che li catapulta in un universo calcistico parallelo, quello riservato agli eroi e agli artisti.
Nei suoi anni, tutti rigorosamente in giallorosso, Totti Francesco da Roma (Kekko per gli amici), è stato gladiatore, capopopolo, trascinatore, faro, emblema, uomo-simbolo, anche campione d’Italia e campione del Mondo. Spesso odiato da noi avversari per certe dichiarazioni, per gli sfottò che ci riservava, per quel suo essere guascone irriverente, ma sempre ammirato per quelle indubbie capacità tecniche che madre natura ebbe a regalargli. Gioimmo tutti insieme per il rigore all’Australia che spianò la strada all’Italia Mondiale di Lippi in Germania nel 2006; ne contestammo in 25 anni esultanze esuberanti e stravaganti riconoscendogli, tuttavia, quel carattere spontaneo e rustico, tipico di quel calcio assai estemporaneo (nella sua personale interpretazione da fuoriclasse) che oggi ci fa tanta nostalgia.
Banale sostenere che se avesse ceduto alle sirene di società più blasonate, Totti avrebbe vinto in carriera molto di più rispetto a quanto non ha fatto. Per certi versi, dettagli. Perché un re senza esercito, confinato per propria scelta in un territorio poco incline alle conquiste (metafora ossimorica se riferita alla grandezza della Storia di Roma), rende con ancora più forza il concetto di celebrata identità personale resa immortale e declinata sotto forma di poema calcistico. E appare quasi come un profetico passaggio letterario che il giorno prima del grande addio, il giovanissimo Kean di bianconero vestito realizzi il primo goal di un classe 2000 nei cinque campionati professionistici europei. La Juve sbanca Bologna nella più inutile delle partite con le reti di Dybala e Kean, dopo essere andata sotto in apertura di secondo tempo, e archivia con l’ennesima vittoria il sesto scudetto conquistato di fila, puntando i radar e le attenzioni alla madre di tutte le partite, quella finale di Champions League che sabato prossimo vedrà i ragazzi di Allegri contendere in quel di Cardiff la coppa dalle grandi orecchie al Real Madrid. L’ultimo successo risale a 21 anni fa, nella magica serata dell’Olimpico contro l’Ajax.
Già, proprio quell’Olimpico che oggi tributerà il proprio commosso saluto al numero 10 Capitano di tante battaglie, di tante partite, di tante stagioni, di tanti derby e scontri epici.
Da Kean a Kekko, eccolo il fattore K.
Dalla giovanissima promessa al celebrato campione senza tempo, universale nel suo aver attraversato e caratterizzato un quarto di secolo di calcio nostrano. Se non ci fossero certi avversari, ogni vittoria avrebbe un significato meno nobile. E pure le sconfitte sarebbero più amare. E’ per questo che Francesco (Kekko) Totti merita di essere celebrato anche da uno juventino integralista come me: grazie per le giocate, per le memorabili sfide, per le asperità e le incazzature che mi hai regalato, per i goal capolavoro che hai realizzato, per la genialità innata, per l’avversario rude e mai indulgente che sei stato, per i colori che hai sempre difeso, per aver introdotto adrenalina e competizione, rivalità e dolce antipatia negli Juve-Roma degli ultimi 25 anni, rendendo un semplice gioco occasione unica per generare emozioni e sensazioni forti.
Grazie per tutto questo: da oggi in avanti, come fu per l’addio al calcio di Del Piero e di altri grandi, il football sarà orfano di un indiscusso protagonista, in attesa che nuovi eroi riescano a catturare la fantasia emulatrice di giovani e adulti. Perché è di sogni che abbiamo bisogno.