Si dice che crescendo si diventa più saggi, più riflessivi e più tolleranti. Sarà anche vero, ma solo in parte. Perché se da un lato la cifra della sopportazione si incrementa più che proporzionalmente con l’aumentare del menefreghismo correlato all’età che avanza, dall’altro su alcune questioni proprio non si transige. Gli anni che passano regalano esperienza, come cantava Guccini: “la paghi tutta e a prezzi d’inflazione, quella che chiaman la maturità”. Proprio per questo, trovo che vi sia ancora più gusto e più libertà nell’esprimere giudizi tranchant senza preoccuparsi in minima misura del giudizio degli altri.
Sarà l’incipiente senilità, ma le primavere che si accumulano portano in dote nuove ansie e impensabili frenesie: io, per esempio, da un po’ di tempo vado in crisi davanti alla cassa del supermercato, quando mi capita che, nelle occasioni in cui faccio la spesa da solo, mi ritrovo a dover riempire i sacchetti. Quelle stramaledette buste che sembrano incollate, che non si aprono in nessun modo: provo a sfregare i lembi tra loro, inizio a soffiare sugli orli, intanto la cassiera prende a conteggiare la spesa di chi viene dopo di me, osservando con malcelata soddisfazione le mie difficoltà. La guardo, quasi supplichevole, ma lei fa finta di nulla, e intanto la roba del cliente successivo viene accantonata nello scomparto accanto al mio. Poi, finalmente, la perfida si rende conto che il mio fare maldestro rallenta tutta la fila, agguanta senza dire nulla un paio di sacchetti di plastica, li sfiora appena e, come per magia, questi si aprono permettendomi di iniziare l’operazione di riempimento della merce che ho acquistato. Questa situazione mi manda in tilt, più di un imprevisto sul lavoro, più di quando mi accorgo di non avere idee da buttare giù per scrivere un articolo o il capitolo di un romanzo.
Sarà anche a causa di queste nuove fobie che poi, di fronte a certi fatti, reagisco in modo verbalmente violento mettendo da parte ogni equilibrismo di sorta. Trattasi di ritorsioni inconsce? Piccole ansie che si sfogano nel valutare senza mezze misure situazioni ben più gravi e rilevanti? Non lo so, ammetto le mie lacune in psicoanalisi. Fatto sta che, dovendo esprimermi su alcuni argomenti di cronaca, scopro alcuni lati del mio carattere davvero poco diplomatici. Per esempio, ai genitori del ragazzino deceduto a causa di un’otite in quanto curato con farmaci omeopatici, infliggerei la fucilazione come pena. Il plotone d’esecuzione, senza alcuna attenuante. Punirei, più che l’incapacità ad esercitare la patria potestà, la stupidità aggravata dall’integralismo manifestato nell’insistere pervicacemente di difendere una convinzione sballata sulla pelle di un bambino. Al medico omeopata darei l’ergastolo, come pena per aver assecondato certe cure al solo scopo di legittimare la propria esistenza di curatore alternativo. Troppo giustizialismo? Forse, ma di fronte a certi drammi causati dall’inettitudine, non trovo altre soluzioni. Come si fa a giustificare una morte per otite?
E a quei genitori che impediscono alla propria prole di mangiare carne, in quanto convintamente vegani o vegetariani? Bambini smunti, magri, bianchissimi: ne ho visti più di uno. Anche per loro propongo la forca in caso di morte o grave malattia causa denutrizione del minorenne. Non è ammissibile causare dolore fino alle conseguenze più estreme, per il solo piacere di difendere con una coerenza sciocca il proprio alternativo stile di vita. E a quelli che negano l’utilità delle vaccinazioni, arrivando a sostenerne la pericolosità? In questo caso mi avvalgo dell’autorevole parere di Gino Strada, che di recente ha definito cretini coloro i quali non vaccinano i propri figli. Anche in questo caso, fucilazioni di massa in caso di insorgenza di malattie o malformazioni riconducibili alla mancata profilassi. C’è poi il caso di Settimo Torinese, dove il neonato appena partorito viene buttato dal balcone dalla madre. Tutti (o quasi) sanno che è possibile partorire in ospedale e non riconoscere il nascituro. In alternativa, qualora l’ignoranza la facesse da padrona, il neonato, come la cronaca ci ha insegnato, potrebbe essere abbandonato davanti a una chiesa, a una struttura sanitaria, persino all’ingresso di un supermercato. Perché buttarlo dal proprio balcone di casa? In questo caso, la misura da adottare per la madre sarebbe il ricovero vita natural durante in una struttura psichiatrica. Senza alcuna possibilità di redenzione.
In settimana, Papa Francesco si è espresso sul provvedimento del salario garantito per i disoccupati, opponendo a tale misura il lavoro garantito per tutti. Ebbene, per una volta sono d’accordo con un Papa. Il salario garantito genererebbe iniquità tra chi si sbatte, per esempio in un call center per sei ore al giorno guadagnando seicento euro, e chi si ritroverebbe in tasca la stessa somma alzandosi dal letto alle dieci del mattino. O tra chi, prestando servizio in un supermercato anche il giorno di Natale, si ritrova in busta paga un salario inferiore rispetto a quanto non succederebbe se sommasse l’assegno del salario minimo garantito ai proventi di un lavoretto magari saltuario svolto in nero. Ma dico, è stato fatto un casino criminalizzando gli LSU e gli LPU, i forestali calabresi e i lavoratori delle varie cooperative sociali, accusandoli di rubare uno stipendio, e poi ci si dichiara d’accordo con un salario privo della sottostante natura che lo dovrebbe generare? Se proprio si vuole lenire il dramma della mancanza di un salario e, contestualmente, promuovere la ripresa della domanda interna a fronte di un’offerta elevata, si segua l’esempio del New Deal Rooseveltiano avallato da Keynes: si offra un salario per scavare buche per poi, subito dopo, riempirle. Di sicuro avrebbe più senso…