Caldo e stress. Sudore, disidratazione, giramenti di testa, zanzare e insetti di ogni ordine e specie. Pressione bassa, senso di stanchezza perenne, spossatezza. La maledetta stagione, quella che i più definiscono bella ma che per me è da sempre la più odiata, da un pezzo ha iniziato a produrre i suoi deleteri effetti sull’umore, sul carattere e sulla mia generale condizione psico-fisica. Il gran caldo, le giornate troppo lunghe, l’eccessiva luminosità, l’insopportabile afa: tutto congiura contro e il nervosismo aumenta.
L’estate è una stagione per illusi stereotipati: la si considera bella solo per una errata valutazione climatica, dimenticando le controindicazioni sopra citate. Del resto, si sa, temperature elevate e poca ventilazione generano danni evidenti sulla psiche alterando comportamenti e provocando anomalie situazionali. Da sempre l’estate è la stagione delle tragedie collettive e individuali, degli incendi, dell’emergenza idrica, delle esagerazioni fatali, degli eccessi. C’è chi dimentica i figli in auto sotto il sole e chi la moglie in autostrada pur viaggiando in motocicletta. C’è chi muore in un grattacielo che prende fuoco come una torcia e chi rimane carbonizzato in un falò portoghese di proporzioni gigantesche. C’è chi crepa in un attacco terroristico ascoltando un concerto o passeggiando tranquillamente per il centro di una qualsiasi metropoli europea. C’è anche chi, per contrappasso, decide di attuare la medesima strategia islamista lanciandosi alla guida di un furgone contro una moschea. D’estate vale tutto e il contrario di tutto, non esistono limiti nel bene e nel male. Se la vita la si dovesse equiparare a una stagione, di sicuro sarebbe l’estate. Un equivoco senza soluzione di continuità, un malinteso permanente fatto di fatica, stanchezza e sudore, spese eccessive e tormentate villeggiature da partenze intelligenti.
Nelle mie notti quasi insonni a causa del caldo, in un dormiveglia fastidioso che non mi permette di riposare come si dovrebbe, alterno pensieri confusi che cerco di bloccare nel momento preciso in cui si manifestano. E’ un’impresa ardua, perché quando mi capita di riuscirci, mi rendo conto che tali divagazioni mentali non hanno né testa né coda. E allora mi rifugio nelle trame dei miei prossimi romanzi che non sono nemmeno sicuro che scriverò, sviluppo percorsi e situazioni, delineo visi e comportamenti, tratti caratteriali e circostanze. Per esempio, l’altra notte ho immaginato un omicidio perpetrato in un ufficio a causa dell’elevato e sconsiderato uso dell’aria condizionata. Lei, la vittima, una ragazza autorevole e sicura di sé. Lui, l’assassino, un tizio che mi somigliava troppo. Nel cuore della notte, protetto da un’oscurità rassicurante, mi sono tornate in mente alcune considerazioni emerse durante il corso di criminologia al quale ho partecipato il mese scorso: non esistono i buoni e i cattivi, non è possibile categorizzare, è fortemente sbagliato nonché per molti versi rassicurante separare e distinguere in modo netto l’orrore dal vivere secondo le regole del reciproco rispetto. Cosicché, visto che l’insonnia aveva preso nettamente il sopravvento, mi sono alzato e sono sceso in salotto a fumare il sigaro. Ho acceso la tv e mi sono sintonizzato sul canale satellitare che trasmette notizie di cronaca senza soluzione di continuità, apprendendo che finalmente, dopo “soli” 43 anni, la Cassazione aveva confermato la condanna di Carlo Maria Maggi e di Maurizio Tramonte in relazione alla strage fascista di Piazza della Loggia del ‘74 a Brescia. Solo che Tramonte, al momento del pronunciamento dell’Alta Corte, si trovava in viaggio spirituale (?) in Portogallo, e Maggi, a causa dell’età e di non meglio precisate precarie condizioni di salute, sconterà la sua pena ai domiciliari. Ma com’è che in Italia, ogni qualvolta qualcuno viene condannato, si scopre che è gravemente malato o troppo vecchio per finire in carcere? Priebke, Riina, Maggi…tutti malati, vecchi e stanchi. Ho spento la tv e ho iniziato a costruire l’omicidio della collega troppo affascinata dall’uso del condizionatore. Intanto il fatto di sangue dovrà avvenire tra una ventina d’anni, tanto con i tempi previsti per la pensione ci stiamo perfettamente dentro. Poi l’assassino, cioè io, dovrà nel frattempo organizzarsi per dimostrare il suo molto precario stato di salute (ho pensato a una bronchite cronica causata dall’uso eccessivo del sistema di climatizzazione). In ultimo, visto che tra processi, ricorsi, assoluzioni, rinvii e condanne parziali, passeranno almeno altri dieci anni, a quell’epoca l’omicida (cioè io) avrà poco meno di ottant’anni, quindi troppo decrepito per finire dietro le sbarre. Nel frattempo ingannerò il tempo scrivendo il mio ultimo noir, “Morte condizionata” o semplicemente “Il mistero di Daikin”, facendo in modo che il protagonista abbia origini giapponesi proprio come la multinazionale della climatizzazione.
Finirà anche questa estate, basta avere pazienza e aspettare. Serberemo il ricordo di un altro grande personaggio che ci ha lasciati proprio ieri, un cosentino illustre nonché illuminato intellettuale come Stefano Rodotà, insigne giurista, più volte deputato del PCI, primo garante della privacy e mancato Presidente della Repubblica in occasione della rielezione al Colle di Giorgio Napolitano. Prima di tutto una persona perbene, difensore dei diritti, dello Statuto dei Lavoratori, delle libertà individuali. E chissà come sarebbe andata se al Quirinale, nel 2013, fosse stato eletto lui…
Passerà anche questa estate. Per adesso, provo a consolarmi con il bel ricordo del tour familiare della settimana scorsa, trascorsa a visitare gli scavi archeologici di Pompei, la Reggia di Caserta e la sempre affascinante Bologna con tappa obbligata a Maranello. Tutto molto interessante e suggestivo, peccato per il caldo, la fila di due ore sotto il sole cocente in autostrada causa tir in fiamme all’altezza di Firenze, e la perenne personale incompatibilità con il navigatore satellitare. In fin dei conti, storie estive, da ricordare tra qualche anno con nostalgia e desiderio di libertà, quando agli arresti domiciliari per l’omicidio della collega ripenserò a certe roventi giornate estive…