E’ sempre difficile trovare le parole giuste, gli aggettivi adatti, evitare di scadere nella retorica del “già detto” e delle classiche formule preconfezionate del cordoglio “pronta consegna a prezzo di saldo”. La tragedia di Cosenza, con tre morti carbonizzati nell’incendio del Centro Storico e asfissiati dalla perenne indifferenza di Istituzioni e cosiddetta società civile, si sottrae al solito rituale postumo fatto di scontata solidarietà e risaputa costernazione. Diventa fatto inedito nella sua tragicità per la dinamica, per l’orrenda fine di una famiglia intera (cane compreso), per le condizioni di profonda indigenza, solitudine e disagio sociale che questi poveri cristi, dimenticati da Dio e dal mondo, erano costretti a sopportare. Il tutto nella pressoché totale indifferenza generale.
E adesso che “sono nel vento”, per dirla con Guccini, tante lacrime, tanti sentimenti di vicinanza e cordoglio, tante testimonianze d’affetto. Ci esprimiamo dal comodo delle nostre case sicure, dai confortevoli luoghi di villeggiatura, dal rassicurante nostro vivere quotidiano. Tutti, nessuno escluso, me compreso. Un sincero e commosso pensiero ai tre “miserabili”, e a chi come loro spesso viene considerato “rifiuto”, “merce scaduta”, “relitto sociale”.
Tristezza e dolore per le vittime, angoscia e dispiacere per la perdita del patrimonio artistico e culturale (libri e pergamene attribuiti a Bernardino Telesio), che nel terribile rogo del palazzo è andato disperso per sempre.