Si fa presto a diventar famosi al tempo dei social network e di whatsapp. C’è chi sfonda con un banale tormentone senza senso (“Saluta Andonio”), chi approfitta della visibilità a costo zero garantita da YouTube pubblicando ogni sorta di scemenza, chi si ritrova involontariamente oggetto di strali e sfottò per un video aziendale (ad uso e consumo interno) che all’improvviso diventa virale. Sulla performance surreale della direttrice di una filiale di IntesaSanpaolo si è scritto e detto tanto ma, come spesso accade in questi casi, spesso a vanvera. Soloni e sociologi improvvisati si sono cimentati nell’analisi antropologica e culturale del fenomeno originato dalla clip registrata in filiale, sviscerandone significati profondi e tratteggiando profili psicologici da consumati apologeti di Freud. La realtà è un’altra, e tanti non possono decifrarla per il semplice motivo che non ne conoscono l’origine, la causa, il brodo di coltura nel quale si è sviluppata e il substrato sociale e professionale che ne ha prodotto cause ed effetti. Partiamo da un assunto: il mondo delle banche, oggi, è totalmente diverso da come era trenta o venti anni fa. A quei tempi la categoria vantava uno status invidiabile, percepiva stipendi ben al di sopra della media, godeva di vantaggi e tutele che permettevano un tenore di vita superiore. Nell’opinione pubblica, che si alimenta di leggende metropolitane e suggestioni spacciate per verità assolute, nulla è cambiato: il bancario continua ad incarnare il prototipo dell’impiegato ricco, sereno e protetto. Fatevene una ragione: non è più così da molto tempo. Di quell’età dell’oro non è rimasto nulla. Orari flessibili, stipendi assolutamente nella media, carriere contenute, attenzione ossessiva alle campagne commerciali, competizione tra colleghi, esasperazione del risultato in vista dell’obiettivo da raggiungere, del budget da traguardare, delle classifiche da scalare e dei successi da performare. C’erano una volta la quattordicesima e i premi di produzione…una volta…appunto. Si badi bene, tale modus operandi non è circoscritto a un solo istituto di credito, ma rappresenta ormai la normalità nel settore bancario, dove ansia, preoccupazione e angoscia da prestazione la fanno da padroni: non molto tempo fa, una ricerca individuava nella categoria in oggetto i lavoratori più stressati e maggiormente inclini a patologie da esaurimento nervoso. Il tutto a causa di un quadro macroeconomico fortemente complesso e reso ancor più delicato dalla normativa giuridica e creditizia in vigore e dalle accresciute responsabilità personali che ne scaturiscono. Altro che serenità… Per cui, stante così le cose, il video fantozziano della povera direttrice di filiale rientra nel perimetro di chi, al fine di compiacere all’azienda per la quale lavora, è disposto a tutto pur di apparire allineato, proteso al risultato (tanto da metterci la faccia, la testa e il cuore), affiliato ad una filosofia funzionale alle nuove figure multitasking al servizio di mutevoli campagne commerciali. Quello che più mi ha fatto inorridire, in questa squallida vicenda, è stata la reazione del sindacato di categoria: indignazione, sorpresa, denuncia tardiva. Tutti bravi a prendere posizione a cose fatte, come se certi accadimenti si verificassero su Marte, in silenzio e di nascosto da tutto e tutti. Beata ipocrisia!
La scorsa estate, quando mi apprestavo a scrivere il romanzo del “Mercante in fiera”, il primo grande problema da affrontare fu quello di trovare un ruolo agli oltre quaranta partecipanti che avevano aderito all’esperimento della storia virtuale online (di imminente pubblicazione cartacea). Dovendo assegnare ad ognuno di loro un ruolo da protagonista, e non potendo trasformarli tutti in detective, l’unica soluzione era quella di farne morire un numero congruo per mano di un crudele e spietato serial killer. Come fare per generare delitti a catena, coinvolgendo quante più persone possibili? Oltre alla dinamica dell’omicidio classico, mi era palesata in mente la possibilità di creare un episodio nel quale provocare la morte di una ventina e più di personaggi. Che so, una bomba, un disastro, un attentato pianificato dal killer. L’escamotage mi era da subito parso troppo banale e poco verosimile, per cui lo accantonai in fretta. Orbene, alla luce degli ultimi drammatici accadimenti di Las Vegas, la prossima volta per avere meno problemi di trama ambienterò il romanzo negli States, dove la vendita libera di armi dà luogo e si presta ad ogni tipo di sceneggiatura. Della serie, quando la realtà supera di gran lunga la fantasia…purtroppo…
Due giorni fa ho scoperto, tramite un sofisticato sistema di intercettazioni ambientali, che a casa mia era in atto un tentativo di insubordinazione teso a capovolgere l’utilizzo del televisore. Mio figlio e mia moglie, con l’obiettivo di limitare il predominio a schermo piatto che tradizionalmente mi vede impegnare a scopo calcistico la tv nei fine settimana e nelle serate di Champions, avevano indetto un referendum familiare. Sulle tre schede vidimate era riportato il seguente quesito: “Sei tu favorevole all’indipendenza televisiva senza alcuna costrizione calcistica, finalizzata alla proclamazione di uno Stato familiare autonomo in grado di autodeterminarsi nella scelta del palinsesto serale senza condizionamenti pallonari?”. Ho tentato in tutti i modi di evitare la consultazione ma, ahimè, non ci sono riuscito. L’esito delle urne, in questa “grottesca pagliacciata”, ha visto trionfare i sì: due schede favorevoli, un astenuto (cioè io). A quel punto sono stato costretto a ricorrere alla forza e li ho pestati entrambi di brutto. Nel frattempo ho dichiarato illegittima la consultazione e ho tenuto un discorso in salotto, evidenziando l’importanza del restare uniti, senza tuttavia cedere ad alcuna concessione sull’uso dell’apparecchio televisivo in presenza di eventi calcistici di ogni ordine e grado. La situazione è ancora in ebollizione, seguiranno aggiornamenti…ma quanta esagerazione!!! Manco fosse la Catalogna…