In tutta sincerità, a me questa nuova legge elettorale, come si chiama? Rosatellum, mi lascia del tutto indifferente. La trovo priva di pathos, di inventiva, di originalità. E’ roba già vista, costruita prendendo un po’ qua e un po’ là dal Mattarellum, dall’Italicum e dal Porcellum. La solita menata di proporzionale condito con quel pizzico di maggioritario che fa tanto chic e non impegna, i collegi uninominali, le liste bloccate e quelle sbroccate. Ma no, è tutto sbagliato, non è in linea con i tempi.
Nell’era della fantasia al potere, dello spettacolo quotidiano, del sensazionalismo cercato e dovuto in ogni ambito, mi aspettavo qualcosa di diverso, di scoppiettante. Tipo, che so, una legge elettorale modellata sul format dei reality show, con i candidati divisi sì per collegi, ma chiamati a sfidarsi in una gara a eliminazione diretta, impegnati a confrontarsi sulle attività quotidiane da svolgere all’interno di apposite case attrezzate, ripresi 24 ore su 24 dall’occhio impietoso delle telecamere (come si diceva una volta). La competizione dura tre mesi, gli italiani da casa seguono il proprio collegio elettorale, ascoltano dialoghi non filtrati, assistono a confronti improvvisati sul divano, si fanno un’idea mentre gli aspiranti parlamentari cucinano, cantano, ballano, si fanno la doccia, flirtano tra di loro. Una roba così. Poi, ogni settimana si aggiorna la classifica e ne va fuori uno, l’ultimo, eliminato dal verdetto incrociato della giuria e del televoto. Al termine della fase eliminatoria, quando di candidati ne resta ancora un numero congruo, parte la fase degli scontri diretti: qualificati di diritto tutti i primi in base ai punteggi ottenuti e sommati in classifica. A questi vanno ad aggiungersi i migliori piazzati al secondo e terzo posto, in modo da formare una specie di tabellone tennistico: prima di formare la griglia definitiva, si darà vita agli spareggi che danno diritto ad accedere al turno successivo; scontri ad eliminazione diretta con esami di cultura generale, grammatica di base, capacità di autocontrollo in situazioni al limite, prove di sopravvivenza in esterno, sfide di cucina, economia domestica, canto, ballo, esibizioni teatrali…insomma arte, cultura e spettacolo. Fatta questa scrematura, si procederà, collegio per collegio, alle finali tra i due concorrenti che saranno risultati più idonei in ogni territorio. Al termine della maratona, con grande soddisfazione del popolo televisivo, si avrà finalmente la composizione del Parlamento: rappresentativo, democratico, in linea con le aspettative e le attese degli elettori.
La politica, finalmente, romperebbe quell’ultimo sottilissimo diaframma che ancora la separa dallo spettacolo puro: coinvolgerebbe un numero infinitamente più elevato di elettori, attirerebbe i giovani e le casalinghe, svilupperebbe audience in tv e sui social, generando introiti dalla pubblicità, dai diritti televisivi e dagli ascolti record. Meglio della Champions League e del Festival di Sanremo.
Una volta composto il Parlamento, nel mese successivo con le stesse modalità si scontrerebbero i candidati premier. Ci sarebbe davvero di che divertirsi. Tra le prove alle quali si dovranno sottoporre gli aspiranti statisti, eviterei noiose e sterili discussioni di macroeconomia, di questioni internazionali, di lavoro, di politiche sociali e industriali: sono discorsi tristi che non servono a nulla e a nessuno, non appassionano la gente, sono sempre i soliti argomenti triti e ritriti: la questione meridionale, la disoccupazione, le pensioni, i salari, la sicurezza, la sanità, l’istruzione. Il popolo ne ha le palle piene, vuole svagarsi, divertirsi, essere protagonista della propria esistenza fondata su leggerezza e creatività.
Apriamo le porte al cambiamento, al progresso, al futuro. Come candidati premier suggerirei Briatore (un mio vecchio pallino), Totò Schillaci, Toto Cutugno, Ivana Spagna, Valeria Marini, Luigi Di Maio e Matteo Renzi. Tra i giudici ufficiali lo chef Cracco, Altafini, l’intera giuria di “X Factor”, Simona Ventura e Morgan. Con buona pace di chi ancora crede e si illude che la politica sia una cosa seria.