Ci sono giorni che vorresti non arrivassero mai. Che, anzi, non esistessero proprio. Giorni così bui e tristi che non vale la pena vivere. Che ti sembra tutto inutile, tutto sbagliato, tutto privo di senso e logica. Che persino il cattolico più devoto trova complicato farsene una ragione. E chi, come me, non possiede quello che viene ecumenicamente definito come il “dono” della fede, avverte una terribile e devastante sensazione di profonda ingiustizia. Di rabbia a stento repressa.
Aurora è una bambina calabrese di nove anni che qualche giorno fa, dopo una grave malattia durata qualche anno, ha cessato di vivere. Nel letto di un ospedale di Pavia. Non la conoscevo personalmente, ma ho un rapporto di sincera amicizia con i genitori, entrambi miei colleghi. Aurora ha combattuto con coraggio, una piccola guerriera che non si è abbattuta di fronte ad un male cattivo e, come si dice col più classico degli aggettivi, incurabile; lo ha affrontato con determinazione e sfrontatezza, sempre col sorriso sulle labbra. Aurora, poche settimane fa, aveva lanciato dal suo letto di ospedale un appello per sensibilizzare le coscienze affinché il suo reparto di oncologia venisse dotato di televisori in ogni stanza a beneficio dei piccoli degenti ricoverati. Creature lontane dalla spensieratezza dei loro coetanei più fortunati, dalla routine quotidiana fatta di scuola e divertimento, lontani dai “Black Friday”, dalle legittime frivolezze di quell’età, dagli scherzi, dai sogni, dai progetti strampalati, dalle feste e dai primi amori. Una testimonial di appassionata ingenuità, Aurora; di tenera e contagiante umanità. E’ diventata un simbolo e, come tutti i simboli, non morirà mai. La ritroveremo ancora e per sempre nelle nostre giornate affaccendate di inutili incombenze, di traguardi da raggiungere ad ogni costo, di risultati da ottenere per compiacere e compiacersi. Avrà, quel ricordo, la forza di farci percepire tutto meno utile e indispensabile, e il nostro affastellarci a rincorrere soluzioni a problemi da affrontare con la massima priorità, meno importante e poco rilevante al confronto dell’emblema di una piccola grande guerriera. Nulla regge il paragone con la sfida che Aurora ha condotto a viso aperto.
Gli ospedali sono luoghi senza tempo, privi di quei ritmi canonici che scandiscono quella che ci appare come ordinarietà. Che vogliono farci apparire come ordinarietà. Giorni, settimane, stagioni, mesi e anni, si rincorrono, in quelle stanze, riproponendosi sempre uguali a se stessi. Tra medici, infermieri, cure, speranza e disperazione, coraggio e abbandono, solitudine e desiderio di lottare, di non darla vinta. Non esiste consolazione logica all’invito alla rassegnazione, alla volontà divina, al caso o al destino. Certe formule dialettiche non trovano la giusta dimensione, la profondità necessaria, l’impatto desiderato o sperato; le parole di conforto e di forza, pure sinceramente espresse, non riempiono il vuoto. Il dolore, di per sé, è già difficile da accettare nei confronti di un adulto; quando si accanisce contro un bambino, non ammette mediazioni. Gli ospedali sono “non luoghi” dove il tempo è sospeso, illuminato giorno e notte da luci al neon, dove in alcuni reparti l’arrivo di un nuovo giorno è percepito come una conquista. Come dovrebbe in realtà essere per tutti nella vita ordinaria. In quei posti nulla è dato per scontato, non ci sono da programmare vacanze o acquisti, carriere o futuro, e molto perde di valore e significato. Lì la vita riconquista il ruolo centrale nell’esistenza di ognuno, seppure in situazioni di estrema difficoltà. E si concretizza l’effetto depotenziante rispetto alle insignificanti afflizioni del nostro tempo sprecato. La semplicità assurge a valore assoluto.
Non posso, per mia incrollabile convinzione, offrire preghiere. Non ho la presunzione di credere che poche parole, scritte sotto l’effetto emotivo di un dramma vissuto dall’esterno ma che mi ha toccato profondamente, possano generare chissà quale effetto consolatorio. Dico solo che alla mamma e al papà di Aurora andrebbe fatto un monumento, come a tutti quei genitori che vivono e affrontano tragedie di questo tipo. E di Aurora, il cui nome evoca quella particolare luce che si manifesta un attimo prima del sorgere del sole, bé, di Aurora ci rimane indelebile il ricordo e l’esempio. Il sorriso e il coraggio. Quelli non possono essere cancellati neppure da un triste e ingiusto giorno di metà novembre.