La giornata di campionato a reti inviolate tra le pretendenti allo scudetto, ha confermato l’attuale equilibrio tra le quattro squadre che dispongono sulla carta delle credenziali per ambire al titolo di campione d’Italia. Al momento, nessuna di esse può vantare di possedere quell’elemento in più che fa la differenza rispetto alle dirette concorrenti, ma tutte e quattro potenzialmente sono in grado di lottare fino all’ultima giornata del torneo.
La capolista Inter, solida e ben organizzata come dimostrato nello scontro diretto dello Stadium, se da un lato ha raccolto un prezioso pareggio in casa bianconera, dall’altro ha perso una ghiotta occasione per avvalorare le proprie credenziali in chiave scudetto. Partita difensiva, quella degli uomini di Spalletti, ma la cosa non deve fare storcere il naso a nessuno, visto che la stessa Juve una settimana prima al San Paolo aveva interpretato la gara secondo le medesime modalità. Certo, in casa del Napoli la squadra di Allegri non si è limitata solo a curare la fase difensiva, ma anzi ha creato nell’occasione tre nitide palle goal arrivando a capitalizzarne una, e nel contempo ha impedito agli uomini di Sarri di vedere la porta. Diverso il discorso dei nerazzurri, che a Torino non hanno mai impensierito Chiellini e compagni, senza praticamente tirare in porta nell’arco dei 90 e passa minuti. La differenza sta tutta qui, e non a caso il risultato finale, tra due gare molto simili, è stato diverso.
Contro la capolista, la Juve ha gestito la gara, ha creato diverse occasioni per portarsi in vantaggio senza tuttavia riuscire a scardinare l’attenta retroguardia nerazzurra. Se all’Inter è mancata quella consapevolezza che deve spingerti a cercare la vittoria in grado di consacrarti contro i pluricampioni d’Italia, alla Juve manca attualmente la brillantezza e l’imprevedibilità nel gioco e nelle geometrie, complice anche l’appannamento di alcuni uomini chiave, Dybala su tutti.
Discorso diverso per il Napoli, che dopo un avvio di stagione fulminante, accusa un fisiologico calo di forma dovuto a diverse ragioni: scarsa profondità di organico, infortuni di elementi cardine (Ghoulam, Insigne e Milik), l’integralismo tattico del suo allenatore e il calo di forma di uomini (Mertens e Callejon) troppo utilizzati finora. La Fiorentina al San Paolo non ha dovuto faticare più di tanto per conquistare il punticino: eravamo stati facili profeti una settimana fa, quando avevamo preconizzato come l’interpretazione tattica di Allegri avrebbe fatto scuola. I Viola hanno impostato la gara sulla falsariga di come aveva fatto pochi giorni prima la Juventus; il pareggio della Fiorentina è frutto di quel tipo di atteggiamento tattico con la differenza che i bianconeri, grazie all’elevato tasso tecnico in rosa, giocando di ripartenza erano riusciti a conquistare l’intera posta in palio.
L’ultima delle quattro pretendenti allo scudetto, la Roma, appare troppo dipendente dal suo centravanti Dzeko e ancora prigioniera dell’equivoco tattico relativo alla collocazione in campo di Schick. In altre parole, quando il bosniaco resta a secco i giallorossi si ritrovano spuntati e con pochissime alternative. Il gioco di Di Francesco si rivela efficace e letale se, come quando allenava il Sassuolo, il centravanti di movimento (Berardi fino all’anno scorso) partecipa alla manovra salendo fino alla propria trequarti e liberando lo spazio per gli inserimenti dei centrocampisti e delle ali. Con Dzeko le cose cambiano un po’, essendo l’attaccante bosniaco poco propenso per caratteristiche a far gioco e molto più a suo agio nel ruolo di prima punta classica. Ergo, fin quando l’ex Manchester City segna va tutto bene, ma quando il meccanismo si inceppa diventa problematico sbloccare partite contro avversari rognosi come il Chievo.
Postilla finale: questi primi mesi di campionato hanno riportato in auge il sistema di gioco all’italiana, fatto di attenzione maniacale alla fase difensiva, di applicazione tattica e contropiede come arma per ribaltare l’azione di gioco. Forse un male per gli amanti del “guardiolismo” e del “calcio totale”, a mio avviso un bene che ha il merito di risintonizzare l’intero movimento sulle tradizioni e le caratteristiche del nostro modo di fare calcio. Senza scimmiottare altre culture, bensì conciliando il fraseggio, la disciplina e il tatticismo con una sana dota dose di pragmatismo. Forse una reazione inconscia al disastro targato Ventura che a giugno ci impedirà di prendere parte ai campionati mondiali in Russia.
Sicuramente il modo migliore per ripartire, naturalmente in contropiede…