Inquietante, sorprendente, palpitante. “L’uomo del labirinto” di Donato Carrisi, edito da Longanesi, è questo e molto altro. E’ un thriller psicologico che ha l’incredibile potere di scavare nella mente del lettore, di impossessarsene pagina dopo pagina, di assumerne il controllo favorendo la piena immedesimazione dei sensi nell’intreccio che inesorabilmente viene sviluppato. In altre parole, crea dipendenza.
Il tema affrontato è quello della scomparsa dei minori, la trama racconta di una bambina che, dopo quindici lunghi anni di prigionia, viene ritrovata ormai adulta, nuda e sotto shock, lungo una strada deserta ai margini di una palude. Sulle tracce del mostro che per tanto tempo l’ha tenuta segregata, si muovono in maniera più o meno ufficiale tre categorie di personaggi: le forze dell’ordine, un profiler specializzato nell’esplorazione dei meandri più profondi della mente umana e un investigatore privato a cui resta pochissimo da vivere. Lo scenario nel quale la vicenda si sviluppa è uno scenario rovesciato, e anche questo elemento capovolto contribuisce a creare ansia e senso di smarrimento in chi legge: a causa del clima impazzito, infatti, il forte caldo impedisce alle persone di vivere la propria esistenza seguendo i canoni abituali. Si dorme di giorno, al riparo dalle temperature infernali, e si lavora di notte, quando le tenebre, nonostante i gradi e l’umidità elevata, permette agli individui di sopravvivere agli scompensi climatici.
Le indagini per tentare di individuare il mostro sono condotte su binari differenti. La polizia indaga applicando il protocollo ufficiale, quello che quindici anni prima, al tempo della sparizione della ragazzina, aveva portato a derubricare la ricerca dalle emergenze: assenza di indizi e, dunque, caso irrisolvibile. Il detective privato Bruno Genko, all’epoca dei fatti incaricato dalla famiglia della scomparsa, percorre autonomamente i sentieri dell’intuito, delle suggestioni del terrore, dell’inquietante sensazione che lo pervade quando si ritrova per le mani il disegno infantile che del mostro ha realizzato l’unica persona in grado di vederlo, ovvero un bracconiere sfigurato nel volto che ha incrociato la ragazza in fuga ai confini della palude. Il disegno è raggelante: il mostro è raffigurato con indosso una maschera di coniglio, il che, di per sé, fa già rabbrividire di suo. Nella ricerca, Genko è mosso non solo dalla sete di giustizia, ma anche da un sentimento di rivalsa verso se stesso: sa di avere i giorni contati, il referto medico che come un talismano porta sempre in tasca non lascia adito a nessuna speranza di vita. Scoprire la verità e risalire all’identità dell’orco, assume per Genko il significato riparatore di un fallimento, quello che per quindici anni lo ha marchiato dopo che, per scarsa convinzione di successo, non aveva adempiuto alla ricerca della rapita per come avrebbe dovuto fare: “lei è riuscita a liberarsi da sola, io mi sentirò a posto con la coscienza quando metterò le mani sul mostro”. L’indagine più sottile e delicata la conduce il dottor Green, profiler medico che agisce sulla psiche della ragazza, ne esplora gli abissi, prova ad estrarne dettagli e particolari utili all’individuazione di un soggetto e di un luogo di detenzione. Ma i fantasmi, gli incubi, il terrore che albergano nella mente della sventurata, rappresentano un labirinto ben più ostile e raggelante di quello fisico dove Samantha Andretti è stata tenuta segregata fin da bambina, ritrovando la libertà (fisica e non mentale) ora che è ormai una donna.
In tutto questo dirimersi, c’è un terribile gioco di specchi, una verità fasulla e una falsità reale, incubi veri e realtà immaginarie si rincorrono, si intrecciano, si sostituiscono senza tregua. Il lettore rimane coinvolto nella trama senza mai perdere il filo, l’ansia di conoscere l’esito del dramma toglie il respiro, e le pagine del libro si rivelano come acqua nel deserto per chi, ormai imprigionato nella storia, non aspetta altro che conoscerne l’esito finale. L’autore ti conduce per mano nell’esplorazione di una realtà dura e cattiva, e affronta il tema dell’adescamento dei minori attingendo a nozioni e argomentazioni scientifiche che affondano le loro radici in quella così terribile e ributtante parafilia. Le cause di certe deviazioni, spesso e volentieri, hanno radici profonde nell’animo umano, e trovano origine in fatti e circostanze verificatisi in età fanciullesca, tra fumetti subliminali, istinti bestiali, vite apparentemente normali e traumi infantili: “loro non sanno di essere mostri”, sono stati “infettati dal buio”.
Il finale, dopo una serie incredibile di colpi di scena, lascia senza fiato; in un aggettivo: spiazzante. C’è la morbosa curiosità di sapere come va a finire, l’ansia per la vita del detective con i giorni contati, c’è il desiderio di capire se il mostro sarà assicurato alla giustizia e per merito di chi, c’è apprensione per le sorti della ragazza in stato semi-confusionale affidata alle cure scientifiche del dottor Green. E c’è sempre il terrore del labirinto, fisico e mentale, che avvolge come nebbia le menti di chi legge, sottraendo aria e imprimendo quel senso di angoscia e impotenza, di prigionia e di chiuso, di claustrofobico e senza speranza. Di paura per una storia assolutamente realistica e, perciò, ancora più terrificante. Ma c’è soprattutto un bel thriller completo, vivo, senza pause o tempi morti, ricco di colpi di scena. Dove tutti i personaggi, anche quelli più defilati, hanno un ruolo. Consigliatissimo!!!!!