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Innocenti eVersioni. Pecore e spread

Pecore e spread. Le prime da utilizzare per manutenere i parchi pubblici di Roma, il secondo da esorcizzare in quanto capzioso elemento di disturbo nelle grandi manovre che precedono il varo del nuovo esecutivo. Il nuovo che avanza spazia a 360 gradi, offrendo idee suggestive e succose analisi di politica economica. Confondendo, però, cause ed effetti. Lo spread, ovvero il differenziale tra il tasso di rendimento dei nostri BTP e i corrispondenti titoli del debito pubblico tedesco, evidenzia tra le altre cose l’affidabilità di un Paese di far fronte al proprio debito pubblico. Ora, intendiamoci: giusto o no che sia, accettato o meno come parametro di valutazione, le dinamiche che determinano l’ascesa o il ribasso dell’indice in questione risiedono nel giudizio di rischio che gli analisti finanziari attribuiscono a quel dato Paese in virtù della situazione politica, economica, industriale in un preciso momento storico. Dunque, le dichiarazioni di burocrati e politici UE sono l’effetto e non la causa dell’aumento dello spread, in quanto quest’ultimo è da ricercare nel meccanismo che ne determina il valore espresso in punti base, ovvero agenzie di rating, sfiducia dei mercati, incertezza politica. Si può non essere d’accordo (e io sono tra questi), ma tale paradigma è del tutto coerente con le dinamiche neoliberiste che purtroppo governano l’Europa e il mondo. Colgo, invero, che si tenda a capovolgere il concetto secondo la seguente formula: lo spread aumenta a causa delle dichiarazioni allarmistiche di chi si oppone al governo del cambiamento. Teoria bizzarra, quasi quanto quella delle pecore da utilizzare come tagliaerba a Villa Borghese. “Rebus sic stantibus”, restano da sistemare un paio di effetti collaterali: tacitati i burocrati europei, come la mettiamo con la storia del debito pubblico? Tosata l’erba di Villa Borghese, come la mettiamo con gli escrementi degli ovini?