Non è facile. Non è facile dare forma e sostanza al vortice di sentimenti che ti assale dopo aver letto “E le nuvole camminano” del dottor Angelo Broccolo, edito da “Le pecore nere”. Una sorta di diario intimo che mette in relazione il microcosmo nel quale agisce l’autore, che racconta in prima persona esperienze di vita vissuta, intrecciandolo abilmente con questioni e argomenti di carattere globale. Il risultato è un caleidoscopio di emozioni, di riflessioni introspettive, di stati emozionali che spaziano a trecentosessanta gradi investendo senza mediazioni di sorta chi si avventura tra le pagine del romanzo.
Angelo si mette a nudo e confessa, a se stesso e al lettore che viene coinvolto negli episodi narrati, proprie debolezze e fragilità, punti di vista e convinzioni (che continuano a scandirne l’esistenza con inscalfibile coerenza) con una determinazione e una consapevolezza che costringono alla riflessione; i brevi capitoli generano commozione e trasudano coraggio, esprimono denuncia verso i mali del nostro tempo ma anche speranza, autoironia, umanità generosamente dispensata senza filtri e condizionamenti di censo, classe e appartenenza.
Il senso profondo di giustizia sociale è il filo conduttore del romanzo, il denominatore di una vita spesa sempre a favore dei meno tutelati, degli esclusi, degli estromessi dal sistema, siano essi emarginati in quanto “diversi”, braccianti, lavoratori in nero, extracomunitari sfruttati, donne sole o anziani dimenticati. Il palcoscenico sul quale Angelo si muove è quello ricco di storia e cultura dell’Alto Jonio cosentino, che abbaglia per struggente bellezza e disorienta nello stridente contrasto con le brutture di un’epoca, la nostra, dai valori smarriti, dal qualunquismo dilagante, dall’incultura elevata a stile di vita.
Sulle note di Bruce Springsteen e Guccini e orientato dalla luce dell’utopia concreta di Mimmo Lucano, tra reminiscenze di gioventù e lucide analisi sulle distorsioni prodotte dall’ubriacatura del modello economico e sociale imperante, Angelo riflette, racconta, si racconta, analizza, obbliga il lettore a fare i conti con le coscienze individuali troppo accomodate dell’homo “social” di questo primo scorcio di terzo millennio. Il ruolo di medico interpretato come missione tout court, l’amore meridionalista per la gente e per la sua terra, la condanna della cattiva politica, l’esaltazione di esempi positivi nella semplicità di esistenze marginali; aneddoti divertenti, tristi, esilaranti e malinconici nell’esercizio delle proprie funzioni di medico senza tempo al servizio di un territorio multietnico.
Le strade solcate sulla mitica Transalp, la spontanea dolcezza del suo ruolo di padre, l’amore sconfinato verso la figura materna che non c’è più e la riconoscenza nei confronti del roccioso papà ancora esempio vivente di insegnamento e sacrificio. Tutto è domanda, tutto è ricerca, tutto è esplorazione e indagine, messa in discussione critica del proprio operato presente e trascorso; nessuna autoindulgenza, piuttosto dubbi di inadeguatezza e spirito autocritico tutt’altro che assolutorio. Tutto è poesia, tra l’azzurro del mare e lo sfondo del Pollino, in un viaggio di vita che scorre come pagine che aprono la vista su un orizzonte spazio-temporale infinito.
Un trattato politico, uno sguardo lucido e impietoso sulla sanità calabrese, un approccio umano, un’analisi sociologica. Una lente di ingrandimento su uno spaccato antropologico analizzato con precisione chirurgica (ca va sans dire). Per meglio capire gli altri e noi stessi.
Consigliatissimo!!!