Il paradosso, per un libro che è piaciuto molto, è di non consigliarne la lettura. Perché “L’odore dell’arrivo” di Gianluca Veltri è un romanzo esistenziale che scarnifica, disossa, costringe il lettore a fare i conti con emozioni e sentimenti ben conosciuti ma, spesso e volentieri, consapevolmente non approfonditi, lasciati in superficie, pigramente e intenzionalmente accantonati in attesa del momento cruciale, quando cioè il confronto con essi non potrà più essere evitato né procrastinato.
Grazie alla sua scorrevolissima prosa, Gianluca attraversa con una scrittura elegante e ricercata, senza tuttavia scivolare nella retorica e nel citazionismo di maniera né nell’eruditismo fine a se stesso, cinquant’anni di esperienze personali e collettive, intrecciando periferia e mondo, vicende intime con eventi che hanno coinvolto emotivamente una pluralità eterogenea di individui. Cosicché le pagine del romanzo emanano l’odore inconfondibile dei pini silani, e rimandano con la memoria ai mondiali di calcio del ’78, alla tragedia motociclistica di Monza del ’73, alle tracce musicali di miti passati che costituiscono la vera colonna sonora dell’epopea narrata e che l’autore, da vero esperto in materia, padroneggia come pochi. L’odore dell’arrivo è l’odore della Sila, dei suoi boschi, della transumanza del bestiame; è il suono delle campane, il fumo della locomotiva a vapore, il gusto delle patate con peperoni. L’odore dell’arrivo è anche la tristezza dell’assenza, della mancanza, dei vuoti di persone e cose, di anni e di situazioni, di case e “quadrati magici”, di chitarre e sperimentazioni. Di pomeriggi di maggio che non torneranno più. Di volti che è come se non fossero mai esistiti, di Alce Nero e dei mandriani del tempo che fu. Sulle note dei Talking Heads e di Crosby, dei Cocteau Twins e di Joni Mitchell si consuma un tempo di nostalgie ed esperienze sensoriali che offrono lo spunto al lettore per spingersi in riflessioni profonde, non sempre concilianti e quasi mai accomodanti. Le sinestesie offrono l’opportunità di percepire e toccare, lasciandosi trasportare in vallate selvagge, in cimiteri londinesi, in città e quartieri meridionali assaporandone l’essenza più pura e autentica. Il lettore ne resta affascinato e imbrigliato, fino a sentirsi parte integrante e protagonista della storia. Inutile cercare di mantenere un atteggiamento distaccato, superfluo provare a resistere: L’odore dell’arrivo è storia di sentimenti che coinvolgono e strattonano, fino a lasciare senza fiato. Con lacrime e sorrisi, nel pensiero di noi. Bellissimo!